Sulla vicenda della azienda Spanu ad Arborea.
Ho già condiviso la convinzione che devono essere addittati al pubblico ludibrio gli acquirenti dell'azienda di proprietà della famiglia Spanu, anche pubblicando le loro foto, in modo che la gente li riconosca e si comporti con loro come meritano per il loro atto che senza se e né ma deve essere qualificato come sciacallaggio e come tale ripugna il comune sentire della nostra gente, sopratutto in campagna. Questo attiene la sfera morale delle considerazioni.
Ma fermarsi qui non basta. Può anche essere un comodo rifugio per troppi benpensanti ("di sinistra", "indipendentisti"? su questo ritornerò più avanti). Voglio affrontare la questione dal punto di vista Politico, cioè della gestione della cosa pubblica, che, in questo caso è rappresentata da almeno quattro fattori fondamentali: la terra, la finanza, l'amministrazione e la responsabilità individuale di ciascuno.
La terra perché, anche se di proprietà privata, io sono convinto che ancora vale il motto dei nostri padri che hanno fatto l'occupazione delle terre dei proprietari assenteisti "la terra a chi la lavora". Vale di fatto, in Sardegna, al di là del diritto, perché chi conosce la campagna sa che raramente esiste un metro quadro che non sia pascolato – con o senza autorizzazione del proprietario.
La terra, così come l'aria, l'acqua, il vento, il sole, l'aria, è un bene comune. Questo significa che anche se il diritto consente la proprietà privata (anche in una società fondata su rapporti di produzione idealmente socialisti). Ho anche scritto che, secondo me, gli acquirenti di quel podere non ne godranno. Perché, al di là di possibili e facilmente prevedibili ritorsioni, non essendo persone di campagna (a quanto pare) non avranno la capacità di gestire l'azienda in termini produttivi e con molta probabilità si sono infilati in un mare di problemi.
La finanza, perché il maggior creditore, che ha attivato la procedura di vendita, è la Banca di Arborea, che è (di fatto prima ancora che di diritto) una Banca di sardi. Per come conosco la sua propensione a gestire queste vertenze, la situazione probabilmente le è sfuggita di mano. Non per un atteggiamento filantropico, ma per un approccio utilitarista.nella identica situazione si trova di fatto il Banco di Sardegna, il proprietario reale della grande parte dei terreni e delle aziende agricole della Sardegna, perché dispone su di essi di ipoteche di primo, secondo e talvolta anche di settimo grado sulle proprietà. Una parte enorme delle esposizioni del mondo delle campagne sono tecnicamente "a sofferenza" cioè sono debiti che non vengono pagati ed hanno necessità di continue rinegoziazioni. Moltissime sono le aziende nella fase terminale della procedura esecutiva, cioè della vendita all'asta.
Ma il Banco sa perfettamente che, se dovesse effettivamente andare sino in fondo, il risultato sarebbe la sua fine, perché dovrebbe mandare a perdite somme gigantesche e perché con il sistema agropastorale morirebbe anche lui, senza peraltro aver risolto niente, sia per l'impossibilità pratica di trovare acquirenti che di realizzare un risultato economico positivo. Ben consapevole di tutto ciò, il Banco continua a gestire la situazione nell'attesa che si giunga ad una soluzione generalizzata, più volte tentata e mai conclusa, e oggi ancora più difficile perché i soldi disponibili sono ben pochi.
Ma chi è il Banco ? Di fatto (prima ancora che di diritto) la proprietà è della Regione, che usa i soldi di tutti noi per intervenire nella sua gestione. Ma non solo: l'altra quota ( formalmente maggioritaria, anche se non è stata mai pagata) è di Banco per, un gruppo di Banche che si riferisce politicamente al mondo del centrosinistra, e che dovrebbe avere il ruolo (oggi si dice la mission) di aiutare le piccole aziende. Cosa intendo dire, alla fine di tutto questo giro di parole? Che per risolvere i problemi di sottocapitalizzazione del sistema agropastorale della nostra regione, alla fine della giostra i soldi dobbiamo metterceli noi tutti, la collettività, e qui entriamo nel cuore del problema: la redistribuzione delle risorse.
L'altro fattore fondamentale in questa vicenda emblematica è il ruolo dell'Amministrazione, cioè della Regione. Io non ho dubbi che l'Assessore dell'Agricoltura senta come una propria sconfitta questa vicenda, e sono convinto che la soluzione sia sfuggita alle sue possibilità tecniche di intervento. Ma è appunto questo il problema politico maggiore: se la soluzione di questa vicenda fosse generalizzata la Regione non avrebbe possibilità "tecniche" di intervento, cioè non disporrebbe di strumenti legali, amministrativi, finanziari, per risolvere il problema. E allora su questo bisogna intervenire, sia con un provvedimento di legge (con relativa copertura finanziaria) che possa consentire di intervenire nell'immediato a tamponare falle come questa, sia per affrontare una volta per tutte il problema.
E qui bisogna dire che il problema non è solo sardo e della Sardegna. Lo Stato italiano interviene molto rapidamente in situazioni di crisi dell'apparato industriale (es. ILVA di Taranto) per affrontare situazioni nodali di settori strategici o di zone particolarmente a rischio sociale. E lo Stato è debitore verso la Sardegna di somme tanto ingenti che consentirebbero non soltanto di affrontare in modo risolutivo questo problema, ma anche di finanziare una nuova fase di "sviluppo" fondata sulla valorizzazione delle risorse endogene della Sardegna. L'Amministrazione, cioè la Giunta regionale in carica, che si dichiara di sinistra (che il PD sia di sinistra peraltro è tutto da dimostrare) e sovranista (di sinistra? anche questo da verificare nei fatti) in questo finora non soltanto ha fallito, ma si sta facendo prendere per il culo dal Governo nazionale.
L'ultimo fattore che interviene in questa vicenda è la collettività regionale, cioè noi tutti. Siamo tutti corresponsabili. Innanzitutto siamo corresponsabili dell'accettazione di un sistema di rapporti che DELEGA ad ALTRI la soluzione dei problemi. Non è vero che siamo impotenti, semplicemente siamo incapaci di badare a noi stessi, di essere protagonisti del nostro presente e del nostro futuro, ed abbiamo l'Amministrazione che ci meritiamo, che in Sardegna agisce dentro il quadro di "compatibilità" che ci viene consentito, per grazia, dallo Stato italiano. Senza una riappropriazione ed esercizio di un volere consapevole e collettivo la Sardegna non soltanto non risolverà i suoi problemi ma diventerà davvero la pattumiera del Mediterraneo.
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