Insularità e non solo
Prendo spunto dall'intervento di Omar Onnis nel suo blog http://sardegnamondo.eu/2016/02/05/insularita-chi-lavrebbe-mai-detto/ per riprendere alcune considerazioni centrali sulla politica attuale in Sardegna. Prima questione: l'insularità è OGGI davvero un hadicapp rispetto alla competizione con collettività territoriali organizzate che si trovano nel continente europeo ?
La mia risposta è SI, senza se e senza ma. Mi interessa poco che ottenere questo "riconoscimento" così ovvio e banale sia stato il frutto del lavoro di un parlamentare europeo del centrodestra, e non mi pongo il problema delle motivazioni che lo hanno spinto e delle ragioni dei parlamentari europei che in maggioranza hanno approvato la proposta.
Certo, non siamo più ai tempi di Mariano IV e oggi disponiamo di strumenti di relazione con l'esterno dell'isola parificati a quelli di qualsiasi altro territorio (Internet) ma ancora per le notre relazioni dipendiamo in misura determinante dal costo e dalla efficienza (NDR) dei collegamenti aerei e degli altri strumenti di trasporto delle persone e delle cose.
Spedire un pallet di qualsiasi nostra merce, per un'azienda sarda che produce beni materiali, oggi ha un costo aggiuntivo, che raddoppia il costo del trasporto, rispetto a qualsiasi altra regione della penisola. Non soltanto: tutte le merci deperibili (ortaggi, frutta, formaggi freschi ad es.), che hanno una shelf life limitata da pochi giorni a poche settimane, oltre la maggiorazione del costo, subiscono una penalizzazione di tempi di distribuzione dovuta non soltanto ai tempi fisici di consegna e trasporto ma soprattutto alla efficienza della distribuzione, sulla quale ci si deve affidare spesso alla sola speranza.
Il bacino d'utenza/ mercato di questi prodotti, che costituiscono una parte gigantesca delle produzioni agricole possibili in Sardegna, è limitato dal mare a 1.600.000 persone. Una qualsiasi impresa che produca le stesse merci in Italia, per non andare tanto lontano, ha a sua disposizione un target di consumatori di tre/quattro volte - per stare solo ai dati quantitativi di prossimità – senza considerare la capacità di acquisto, che nelle zone del Centro/Nord è almeno doppia rispetto a quella in Sardegna.
Il risultato, sedimentato nel tempo, è che l'orticultura nella nostra isola si è sviluppata soltanto nelle aree più prossime al mercato e che la sua dimensione è limitata alla capacità di assorbimento di questo mercato. Analogo discorso vale per le nostre produzioni più tradizionali (pane, pasta, uova, formaggi, frutta etc). Da questo è derivato anche l'utilizzo molto parziale dei terreni irrigui del Campidano e delle poche altre zone irrigate dell'isola, e da questo è derivata anche la specializzazione produttiva dei formaggi prodotti in Sardegna, che per poter essere venduti senza farsi strangolare dal compratore hanno bisogno di molto tempo ( = stagionatura) per essere venduti a prezzi remunerativi.
Chi opera in agricoltura o nell'allevamento è ben consapevole di questi dati. Vado in bestia ogni volta che qualche saccente ospite italiano o europeo si permette di pontificare paragonando l'utilizzazione dei nostri terreni a quella nelle loro zone, trattando i nostri contadini e pastori quasi come subnormali . La mia opinione è non solo che gli operatori che continuano a resistere nelle campagne della nostra isola abbiano competenze e capacità almeno pari a qualsiasi altro "europeo", ma che abbiano in più una dose di tenacia, di coraggio e di forza di vivere (non sopravvivere e vegetare) che ormai sono merce rara nelle società industriali e postindustriali.
E non mi si venga a dire che tutto il settore vive di "assistenza" ! Se esistesse un vero e libero mercato si potrebbe anche parlare, ma in Italia e in Europa il libero mercato è una pura presa per il culo per i gonzi.
Andatevi a vedere categoria per categoria sociale quanto e come pretesi capitani d'industria hanno goduto di sostegno da parte dello Stato ed andate a vedervi su quali patti è stata fondata l' Unione Europea. Questo vale anche per tutte le altre categorie produttive del settore dell'artigianato e dei servizi, e non parliamo del pubblico impiego !
Seconda questione, su cui, a mio parere, è urgente fare chiarezza è quella del rapporto tra i cittadini e la loro rappresentanza politica. Nello stesso intervento di Onnis, peraltro assai apprezzabile per le dotte citazioni e per il richiamo a guardare la trave nel nostro occhio prima della pagliuzza nell'occhio degli altri, si insiste ancora nell'individuare esclusivamente nei rappresentanti politici i responsabili di tutti i nostri guai.
Ho avuto modo recentemente di affrontare questo argomento in uno scambio di considerazioni su fb con Lilli Pruna e con Giorgio Madeddu. Continuare a esimere i cittadini dalle loro responsabilità è sbagliato ed improduttivo. La mia opinione è che il popolo non sia bue e non sia nemmeno fatto da eroi, che le persone (salvo casi marginali) hanno la capacità di scegliere tra le varie proposte politiche in campo. Non sono considerazioni semplicistiche e banali: su questo dato si fonda la democrazia. Se non esistesse quella capacità di discernimento e di scelta non esisterebbe motivo per rispettare la cosiddetta volontà popolare. Certo, è vero che esistono potentissimi strumenti per formare il consenso, ma questi, per quanto possano avere un peso enorme, non hanno un peso determinante. Ciò che determina le scelte, invece, sono ancora banalmente gli interessi materiali delle persone (vedo che Carletto, come dice Nicola Migheli, è di nuovo oggetto di considerazione attenta).
Questo sistema, in Sardegna e in Italia (per non andare troppo lontano) si regge perché ancora riesce a dare risposta ai bisogni della gran parte delle persone e queste, giustamente, non modificheranno i loro atteggiamenti e le loro scelte finchè non avranno la possibilità di scegliere una proposta più convincente e praticabile.
Qui sta la responsabilità e la capacità di chi si propone come guida della società in alternativa ai partiti ed ai gruppi oggi egemoni. Siamo sicuri di avere una proposta chiara, comprensibile e soprattutto: siamo sicuri di avere le carte in regola come gruppi potenzialmente dirigenti della società ? per stare a guardare la trave nel nostro occhio, prima che le pagliuzze e travi negli occhi degli altri, siamo sicuri che, quindi, l'alternativa indipendentista ai poteri dominanti italiani ed alle loro agenzie regionali, oltre solidi argomenti di critica allo statu quo, ed oltre una prospettiva ideale affascinante, abbia anche uomini validi per essere realizzata ?
Da questo punto di vista abbiamo ancora parecchio da migliorare, visto che anche l'appuntamento delle prossime elezioni comunali invece che essere considerato come occasione per sperimentare livelli superiori di aggregazione viene ancora da troppi visto come occasione per dividersi su uomini e praticare risibili e totalmente improduttivi interessi di bottega locale. Per dirla tutta, è tanto apprezzabile l'atteggiamento di Progres a Cagliari (aperto a un'ampia coalizione alternativa) quanto biasimabile l'atteggiamento di Mauro, che sembra, almeno sinora, continuare la sua solitaria battaglia col drappello di Unidos, e la posizione totalmente strumentale dei partiti alleati al PD nell'attuale governo regionale nonché la posizione dei partiti di matrice sardista/indipendentista alleati del centrodestra.
Podimus, con Casa Sardegna.
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